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Capita di assistere, nelle motivazioni dei giudici tributari che respingono la tesi difensiva del contribuente, alla laconica statuizione per cui “gli accadimenti del processo penale non rilevano in sede tributaria in virtù di quello che è il c.d. doppio binario tra processo penale e processo tributario” (statuizione ripresa da una sentenza di una Commissione tributaria regionale, ndr).
Il principio del “doppio binario” è contenuto nell’art. 20, d.lgs. n. 74/2000, che così recita: “Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”.
In materia era maturata una giurisprudenza (Cass., 2856/2008, 8129/2012, ecc.) secondo cui, in realtà, tale principio si doveva interpretare nel senso di ritenere sì indipendenti i due processi ed i poteri decisionali dei due diversi giudici; quando, però, i fatti materiali che costituiscono l’illecito penale e tributario sono i medesimi, se nelle more del processo tributario interviene la definitività della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, la sentenza penale è un “documento” che può essere prodotto nel processo tributario e che quest’ultimo ha l’obbligo di analizzare al fine di motivare in ordine al proprio convincimento, senza obbligo- ovviamente- di considerarla come cosa giudicata, semplicemente per la valutazione delle prove effettuata in sede penale.
Sull’argomento, cioè sul “rilievo da assegnare, nel processo tributario, al giudicato penale sopravvenuto in corso di causa”, è ora intervenuta l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 25632 del 22 settembre 2021.
In buona sostanza, siccome in quel caso i fatti in ordine ai quali si è pronunciato il giudice penale, con sentenza passata in giudicato, erano i medesimi su cui si controverteva in sede tributaria, secondo la Suprema Corte “l'accertamento di fatto, effettuato in sede penale, vincola il giudice civile”.
Proprio così: se nel processo penale si è registrata l’assoluzione perché il fatto contestato non sussiste, e tale fatto è il medesimo che è stato posto a fondamento dell’accertamento tributario (per esempio contabilizzazione di una fattura per una operazione inesistente da un lato e ripresa a tassazione del costo dall’altro), siamo in presenza del c.d. giudicato esterno e, secondo l’ordinanza qui brevemente in commento, “l'eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito in quanto prescinde da qualsiasi volontà dispositiva della parte e, in considerazione del suo rilievo pubblicistico, è rilevabile d'ufficio”.
Si chiederà allora il lettore, quando si può produrre, nel processo tributario, tale assoluzione? La risposta è stata fornita direttamente dalla Cassazione: siccome il giudicato esterno risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e rendere stabili le decisioni, non è un “patrimonio esclusivo delle parti” ed il giudice (tributario), al quale ne risulti l’esistenza, non è vincolato dalla posizione assunta dalle parti del giudizio, “dovendo procedere al suo rilievo e valutazione anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo”.
Ne segue, in definitiva, che “Deve … negarsi che la produzione di una sentenza penale irrevocabile prodotta dalla parte sia soggetta a preclusioni processuali, potendo la stessa essere acquisita, ed utilizzata per la decisione, anche d'ufficio”. Del resto, conclude il giudice di legittimità, “apparirebbe davvero improprio richiedere alla parte di anticipare le proprie difese in relazione ad una sentenza penale che non è ancora stata pronunciata”.
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